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Roberto Filiani ci parla di uno dei fantini più vincenti della Storia del Palio.
La "Voce del Palio" propone una nuova pillola storica a cura di Roberto Filiani che oggi ci parla della storia di Francesco Santini detto "Gobbo Saragiolo", vincitore di ben 15 Carriere tra il 1823 e il 1860.
Per raccontare la vita di Francesco Santini detto “Gobbo Saragiolo” sarebbe necessario un libro intero, ma anche i suoi formidabili numeri e qualche nota della sua lunga carriera rendono l’idea dell’importanza di questo personaggio, il fantino più forte e titolato della storia, una vera macchina da guerra, anzi da Palio. Corse ben cinquantanove carriere, in quattordici contrade, dal 1823 al 1860, riportando quindici successi, record condiviso col settecentesco Bastiancino.
Originario di Montalcino, fabbro di professione, come il padre, già da adolescente debuttò in piazza vincendo subito nel luglio 1823 per i colori della Chiocciola. Gran nerbatore, a dispetto della giovane età e del fisico minuscolo e deforme, era alto due braccia, pesava meno di ottanta libbre e con la sua gobba in bella evidenza, il Saragiolo seppe subito farsi rispettare dai colleghi più esperti e dopo alcuni anni senza vittorie si rilanciò alla grande con il cappotto personale del 1829.
Proprio a ridosso di quel periodo il Gobbo cominciò a correre, con un’alternanza quasi studiata, sia per l’Oca che per la Torre la cui rivalità trovò linfa proprio da questo continua ed accanita lotta per montare il fantino più ambito di piazza. Astuto ed abile, sfruttò questa situazione a suo piacimento guadagnando potere, soldi ed allori: ben cinque vittorie per Salicotto e tre per Fontebranda. Il grande antagonista del Gobbo Saragiolo fu Francesco Bianchini detto “Campanino”, nove vittorie dal 1828 al 1843.
L’accesa rivalità fra i due oltre ad esaltarsi in epici scontri in piazza trovò sfogo anche in un gravissimo episodio di cronaca del novembre 1838 quando, a seguito di una rissa scoppiata in occasione delle corse di Castelnuovo Berardenga, Campanino colpì ripetutamente Angiolo Bandini, stalliere del Gobbo Saragiolo, provocandone la morte e subendo per questi fatti una condanna per omicidio preterintenzionale.
Anche il Gobbo, comunque, per confermarsi il re della piazza non risparmiava a Campanino ed agli altri fantini colpi bassi e scorrettezze. E’ passato alla storia il Palio dell’agosto 1832 quando, “per colmo di birbanteria”, il Gobbo Saragiolo si insaponò dalla testa ai piedi per poter letteralmente sfuggire dalle grinfie dei suoi avversari cogliendo in questo modo un insperato successo per l’Oca.
Ma come ogni buon fantino il Saragiolo oltre a saper vincere sapeva anche vendersi. Eclatante, tra gli altri, il caso del luglio 1855 quando fu montato nella Selva su un primo cavallo. In Vallepiatta il fantino più amato ed odiato di Siena era un idolo avendo riportato, nel luglio 1840, la vittoria che mancava dal lontanissimo 1794. Nonostante ciò, trovandosi nelle posizioni di testa andò a dritto al secondo San Martino fuggendo a cavallo dalla piazza. Nei giorni successivi fu sentito mentre ammetteva candidamente di essersi venduto: “… ma che dovevo vincere per voialtri miserioni che mi davi 140 monete quando ne ho guadagnate 170…”.
A questo avvenimento seguì un lungo procedimento giudiziario con il fantino che pretendeva, nonostante tutto, il compenso pattuito con la Selva. Il processo si chiuse nel 1860, proprio l’anno in cui il Gobbo Saragiolo smise di correre, con la condanna per il fantino che venne obbligato a risarcire la Selva, nella persona del suo capitano, nonostante molti colleghi avessero testimoniato a suo favore.
Si chiudeva così, in maniera ingloriosa, la lunghissima carriera del Gobbo Saragiolo che negli ultimi anni della sua vita aprì una locanda nel territorio dell’Onda, contrada dove aveva preso la sua residenza nel Vicolo delle Lupaje, nei pressi dell’attuale Via Duprè. Nella nuova attività il Gobbo non ebbe fortuna come durante la sua carriera di fantino. Coinvolto in decine di procedimenti giudiziari finì i suoi giorni in miseria come ben si evince dal suo atto di morte, dell’ottobre 1865, che alla voce mestiere recava questa emblematica dicitura: “fantino miserabile”.
Roberto Filiani
Foto: www.ilpalio.org